“... perché quando si fa alla guerra c’è bisogno di un sacco di gente: c’è bisogno di generali che guidano sapientemente gli eserciti, c’è bisogno di soldati che si scagliano con coraggio contro il nemico, c’è bisogno di medici per curare le ferite del corpo, ma per altre ferite, quelle dell’anima… per quelle non bastano i medici, per quelle ci vogliono i preti... Quella che vi racconto oggi è la storia di uno di loro. Si chiama Carlo.. don Carlo...”
Una storia che si concentra in 9 giorni: dalla sera del 17 gennaio 1943 quando per la Tridentina arrivò l’ordine di ripiegare, alla notte del 26 gennaio, dopo la terribile battaglia di Nikolajewka, con un ultimo, struggente episodio: l’alpino Tobia, attendente di Don Carlo, incurante del freddo atroce di quella notte, uscì a soccorrere il cappellano, lo trasportò sulle spalle fino all’interno di un’isba e con grande coraggio e altruismo riuscì a salvargli la vita. Tobia aveva salvato la vita a un Santo.“Un Santo con la penna" è un lavoro narrativo che ripercorre uno degli episodi più tragici della seconda guerra mondiale: la terribile ritirata di Russia che costò la vita a 100 mila soldati italiani, molti dei quali alpini, ma che coinvolse ben 229 mila soldati italiani, mandati allo sbaraglio dal regime fascista. E’ una sintesi ben bilanciata fra guerra e fede. La prima che rende grande la seconda. E’ la storia di un cappellano militare che sarebbe diventato Santo, ma attraverso i suoi occhi e la sua unica arma da battaglia (un minuscolo crocefisso) è la storia di tutti quei ragazzi.
Si entra nel vivo con la narrazione della spedizione in Russia dell’Armir, l’ottava armata italiana, si racconta del fronte del DON, dove le truppe italiane combatterono, delle città sotterranee che vennero scavate come unico riparo al freddo e al nemico, dei momenti in cui al fronte arrivava la posta… poi la terribile ritirata a 40 gradi sotto lo zero, potendo contare soltanto sul coraggio e poco altro.
Grazie a quel coraggio, 130 mila soldati riuscirono a salvarsi e tornare in patria. Questo è un omaggio al loro eroismo e una memoria per i 100 mila che, al contrario, finirono la loro vita in Russia.
Lo spettacolo si apre con alcune voci di reduci, seguite da pochi minuti di inquadramento storico (l’operazione Barbarossa dei tedeschi alla conquista della Russia), l’ingresso dell’Italia in quella campagna accanto agli alleati dell’Asse, l’epilogo dell’autunno inverno del 42/43 quando oltre all’armata russa, i soldati dovettero combattere anche contro il terribile inverno della steppa.
Insieme a me sul palco ci sono Daniele Gozzetti, noto cantautore bresciano che esegue due suoi pezzi sulla ritirata di Russia (uno ispirato alla storia vera di due fratelli reduci di Russia, l’altro ispirato allo scritto di un soldato morente raccolto da un commilitone, durante quell’epopea bellica) e Davide Bonetti, già con me in “Solchi di Gloria” e “Report” che esegue un brano originale in lingua russa e un manifesto della pace come “La guerra di Piero” di Fabrizio De Andre.
“troviamo poche parole per descrivere appieno la brutalità della guerra, ma ne troviamo a milioni, se le cerchiamo, per descrivere la bellezza della pace”: è il monito finale che lancio dal palco di questo spettacolo.