Se non lo hai mai sentito… non puoi sapere esattamente cosa significa.
E’ un odore strano, acre, fastidioso a tratti… un misto di muffa, polvere e legno. Ma quando ti entra dentro la prima volta, non esce più! Non dal naso, ma dal cuore.
Edith aveva sentito per la prima volta quell’odore in una piccola sala da ballo di Kassa, Ungheria, anno 1934. Lei ne aveva 6 di anni, quel giorno. E un sogno: fare la ballerina. Una sorella violinista, l’altra pianista, un padre sarto e una madre che amava rileggere “via con vento”… una ballerina ci sarebbe stata a pennello in quella famiglia ungherese. Ungherese ed ebrea, come 800 mila altre persone in Ungheria. Nel 1934.
Dieci anni dopo, milioni di gocce di sudore dopo, migliaia di ore alla sbarra dopo… Edith entrò con la sua famiglia nell’inferno di Birkenau. Mese di maggio. 1944. Il momento peggiore! Era in corso l’aktion Höß, chiamata così perché supervisionata da Rudolph Hob, comandante del campo. Il disegno prevedeva l’eliminazione di 800 mila persone, ebrei ungheresi, in meno di 3 mesi. Riuscì solo parzialmente, a metà. 400 mila fra uomini, donne e bambini furono gassati e bruciati nei forni del campo. Edith fu assegnata insieme alla sorella ad un commando che svolgeva servizi per la logistica del campo. La madre e il padre, no. Loro non furono assegnati a nessun commando. Loro furono mandati ad una fila diversa da quella di Edith e Magda, appena scesi dal treno. Lo aveva deciso un ufficiale delle SS con un semplice gesto del pollice che indicava la direzione da seguire: Edith e Magda in una fila, mamma e papà nell’altra. Le due ragazze alla quarantena, mamma e papà al camino.
Quell’ufficiale, quello del pollice che aveva indicato la fila… una sera, pochi giorni dopo il loro arrivo, all’imbrunire, entrò nel dormitorio di Edith e cominciò a blaterare ordini in tedesco. Era ubriaco, nel parlare trascinava la lingua. La kapò scattò sull’attenti e l’ufficiale si fermò di fronte alle deportate disposte una accanto all’altra, senza capelli, indossando una lercia divisa a righe. La kapò tradusse, ma Edith non capì. Sentì soltanto la mano della sorella che stringeva dolcemente la sua. Le altre deportate, più anziane, capirono per loro! In due si spostarono alle spalle di Edith e la spinsero in avanti tanto da farla sobbalzare a pochi centimetri dall’ufficiale. C’era un orchestra fuori dalla porta del dormitorio. L’SS diede l’ordine e i musicisti iniziarono a suonare. Fu alle prime note che Edith capì... “Sul bel Danubio blu”. La SS voleva divertirsi, voleva che qualcuna lo intrattenesse: “piccola ballerina, balla per me!”.
Sul selciato del dormitorio Edith si chinò e tolse gli zoccoli di legno. Le note continuavano, ma lei rimase impietrita di fronte a quella bestia in divisa. Braccia e gambe pensati e immobili: come negli incubi, quando si percepisce un pericolo, ma non si riesce a muoversi. “Balla..!” e il suo corpo, finalmente, cominciò a ondeggiare. Lo slancio in alto della gamba, una piroetta e… giro, poi le spaccate su quel suolo fangoso. Edith chiuse gli occhi e ballò. Semplicemente, ballò. Tutte le ballerine conoscono quel valzer, ma lei lo adorava, lo aveva provato centinaia di volte, forse migliaia. In sala, è vero, ma ricordò che Strauss disse che quell’insieme di note erano per lui ciò che più di ogni altra cosa gli ricordava l’infinito… e nell’infinito dell’inferno Edith ballò. Ad occhi chiusi, di fronte ad una SS e nel fango… ballò pensando all’Opera di Budapest, ballò pensando a mamma e papà, ballò pensando che le avevano tolto tutto, ma non le avrebbero mai potuto togliere la bellezza dei movimenti del suo corpo. Nessuno le avrebbe potuto mai togliere, finché era nella sua mente, la danza. Gli orchestrali suonarono il valzer per intero e Edith, ansimante, cominciò a temere che il crescendo finale sarebbe coinciso con la sua morte. All’ultima piroetta, quell’esplosione di note la portò in spaccata. Perfetta, come sempre! La musica si fermò e in quel dormitorio ci fu silenzio. Aprì gli occhi timorosa e vide di fronte a lei Mengele che la osservava con sguardo affascinato. Con quella fessura fra i denti incisivi, sembrava avesse il volto di un bambino divertito. Fece un cenno alla kapò e questa gettò una pagnotta di pane verso Edith, in mezzo al fango. Si era divertito, le era piaciuta! Sarebbe rimasta viva.
Edith venne liberata a Gunskirchen, un sottocampo di Mauthausen un anno dopo quell’esibizione nel fango. Edith non è diventata una ballerina, non ha realizzato il suo sogno, ma ancora oggi, 76 anni dopo quel valzer all’inferno, quando entra in una sala di danza, prende fiato e respira a pieni polmoni, perché non c’è odore più dolce per una ballerina, di quello del gesso di punta strisciato sulle assi di un palcoscenico.
Ascolta questa storia recitata da Marco Cortesi su https://www.youtube.com/watch?v=dlchpoqDJZs