La storia di oggi parte da una notizia di qualche settimana fa: quella dei funerali di Giuseppe Soffiantini, un imprenditore di carattere, un uomo coraggioso come mai ne avevo conosciuti. Lo intervistai a Marone, sul lago d'Iseo, nel 2000 insieme al collega/maestro Tonino Zana, penna eccezionale e autore del libro "Il mio sequestro" che ripercorreva gli otto mesi di prigionia dell'imprenditore di Manerbio. Fra loro c'era una complicità che andava oltre il rapporto professionale fra soggetto e autore di una storia. Non è un azzardo dire che fra loro c'era un'autentica amicizia. Mi trovai di fronte a due "giganti": io giovane praticante, loro personaggi big! Spesso, però, i giganti sono grandi anche nella gentilezza, nella cordialità, nell'obiettivo di mettere un giovane e impaurito "quasi" giornalista a suo agio... ecco perché ricordo quell'intervista come una delle più belle ed emozionanti della mia carriera. Giuseppe Soffiantini era stato liberato appena due anni prima e un particolare, sedendomi accanto a lui, mi gelò il sangue da subito: vidi l'orecchio mozzato! Mi vennero i brividi. E' stato un po' come quando, anni dopo, vidi il tatuaggio del numero di matricola di Nedo Fiano, sopravvissuto ad Auschwitz: ti accorgi immediatamente che la loro storia è vera, reale, talmente autentica da rimanere per sempre stampata e intrisa nei loro corpi umani. Poi mi ricordo il racconto di quei mesi terribili di sequestro, la paura che ogni istante potesse essere l'ultimo, il sentimento di amore cristallino che un uomo prova per gli affetti più cari: la moglie, i figli. L'apprensione per la sua creatura, la sua azienda, i suoi collaboratori. Mi fu chiaro all'istante che neanche volendo sarei riuscito a capire appieno quel che era effettivamente passato nel cuore di quell'uomo in così tanti giorni di interminabili e continui pensieri. La sua storia mi colpì talmente che non riuscii a non commuovermi. I miei occhi si bagnarono, la mia voce si ruppe... pensai di essere un debole in quel momento e pensai che quell'atteggiamento non si sposava con la professione che avrei voluto fare nella vita, con la freddezza richiesta ai giornalisti... ma diversi anni dopo, proprio quel maestro che era accanto a me e Soffiantini quella sera, mi dimostrò che non era così. Io e Tonino eravamo in Abruzzo, fra le macerie dell'Aquila, poche ore dopo la terribile scossa dell'aprile del 2009. Vivemmo insieme giorni intensi e interminabili e in uno di quei momenti, ormai in confidenza, osai... "Tonino, sei la penna migliore che io conosca, dimmi il tuo segreto... ". Un attimo di silenzio e poi... "Emanuele, da Soffiantini a tutte le altre vicende che ho raccontato ho scoperto che c'è un solo segreto: per raccontare con efficacia una storia non devi vergognarti di viverla". Due maestri, un solo insegnamento: nella vita bisogna avere il coraggio di essere forti come Giuseppe Soffiantini, ma anche la disponibilità ad essere deboli e vulnerabili! Quel giorno la mia vita è cambiata, quel giorno ho capito realmente cosa significa fare storytelling: aprire il tuo cuore per arrivare a quello degli altri!