E chi dice che l’estate è fatta soltanto per leggere libri… leggeri.
Abbiamo così poco tempo per leggere, che le vacanze rappresentano un’occasione preziosa per dissetare la nostra curiosità.
Io consiglio sempre volentieri un libro in particolare. Non è crudo ma parla di una vicenda molto cruda, non è noioso, si legge tutto d’un fiato ed è uno di quei libri che non vedi l’ora di leggere la pagina successiva.
Non l’ha scritto un grande autore, l’ha scritto un grande uomo.
Si chiamava Tadeusz Pankiewicz ed era nato a Sambir, in Ucraina, al confine con la Polonia, il 21 novembre 1908.
A 25 anni aveva aperto una farmacia a Cracovia, una delle più belle città d’Europa, all’angolo di una piazza dove oggi ci sono posizionate, in un enorme monumento a cielo aperto, 70 sedie, ben saldate alla pavimentazione.
La farmacia si chiamava “all’Aquila”.
Si chiama ancora così quello stabile, solo che oggi non ospita più una farmacia.
Tadeusz era una persona cordiale, un signore ancora prima che un dottore, un uomo che distingueva gli altri uomini soltanto in base ad una sua convinzione generale: quelli buoni da quelli cattivi.
E per questo era trasversalmente rispettato da persone di ogni fascia di età e classe sociale.
Come si usa per i dottori… quelli bravi, insomma.
Il 3 marzo del 1941 l’occupante nazista, che si era impadronito della Polonia nel settembre del 1939, crea di forza e d’ordine il ghetto nella città di Cracovia e Tadeusz ne diviene suo malgrado un abitante.
Sarà l’unico “ariano” ad avere il permesso di continuare a vivere nel territorio del ghetto.
Nessun altro ci poté stare, furono tutti evacuati verso altri quartieri della città.
E la ragione fu soltanto una: alle autorità naziste non dispiaceva l’idea che ci fosse una farmacia all’interno del ghetto, per evitare il diffondersi troppo veloce delle epidemie dovute alle pessime condizioni igieniche che c’erano in quel luogo.
Tadeusz vide di persona, insieme alle sue collaboratrici, l’evoluzione di quel ghetto. In quell’area vennero stipate migliaia di persone con una concentrazione che raggiuse anche le 15 persone in appartamenti che prima ne avrebbero potute ospitare non più di 3 o 4.
Quel ghetto fu delimitato dal resto della città da un enorme muro insormontabile realizzato in maniera particolare: non era un filo spinato, non era una recinzione, non era un semplice muro. I nazisti lo costruirono sullo stile dei cimiteri: il muro era composto da enormi lapidi (ricostruite) una accanto all’altra per far capire da subito lo scopo che aveva quel luogo: uno scopo di morte. Uno scopo macabro.
Il farmacista divenne confidente di quegli ebrei, divenne cospiratore insieme a loro, li aiutò rischiando la sua vita molte volte. Quello stabile all’angolo della piazza divenne un covo dove giorno e notte si organizzavano attività clandestine. Lui ne era non solo consapevole ma ne divenne parte attiva.
Per il suo valore, nel 1983 ha ricevuto dall’Istituto Yad Vashem (l’Ente Nazionale per la Memoria della Shoah) il riconoscimento di “Giusto tra le nazioni”. A partire da quello stesso anno la farmacia è diventata parte del museo della Farmacia di Cracovia.
Oggi in quella piazza si vedono quelle 70 seggiole a distanza regolare una dall’altra. Io le ho viste una decina di volte e tutte le volte mi chiedo il significato di quel monumento.
C’è chi dice che ricordino i 70 bambini di una delle scuole del ghetto trucidati durante l’evacuazione definitiva di quel quartiere verso i campi di sterminio (per dare un aspetto di normalità le maestre quel giorno fecero lezione in quella piazza).
C’è chi dice che ricordino i 70 mila ebrei che vivevano a Cracovia perfettamente integrati prima dell’occupazione da parte dei nazisti.
Io preferisco pensare che ricordino i 70 gesti eroici di un uomo giusto, un uomo buono, un cattolico autentico e senza fraintendimenti, che non ebbe mai paura ad aiutare il prossimo.
I 70 gesti eroici del farmacista più celebre della storia polacca: il farmacista del ghetto di Cracovia, Tadeusz Pankiewicz.