#consiglidimusica a cura di Davide Bonetti*
10 febbraio 1966. Kingston, Giamaica.
Alpharita Constantia Anderson, detta "Rita", ha appena celebrato il proprio matrimonio. Ha 19 anni, e il suo nome da nubile non ci dice molto; il suo nome da sposata, invece, ci racconta un pezzo importante della storia della musica pop del XX° secolo, dal momento che Judy Mowatt, Marcia Griffiths e lei, Rita Marley, conosciute come le "I Threes", forniranno buona parte delle armonizzazioni, dei cori e dei contrappunti vocali che tanta parte avranno negli arrangiamenti dei brani di suo marito.
Ancora febbraio, ma pochi giorni prima, il 6, anno 1945: Robert Nesta Marley, figlio di un bianco capitano della marina e sovrintendente di piantagioni, e di una giovanissima giamaicana nera, nasce nel villaggio di Rhoden Hall, regione di St. Ann's Bay, nella Giamaica settentrionale. E già in questo dato biografico si ritrova una tensione, una dicotomia che attraverserà tutta la sua carriera, facendone un profeta della liberazione dei popoli africani ma allo stesso tempo una star di prima grandezza dello show business, con al suo attivo oltre 75 milioni di dischi venduti in tutto il mondo.
Gli esordi musicali, all'inizio degli anni '60, sono incerti e il successo è scarso, tanto è vero che Bob e i suoi compagni di strada sono costretti a sbarcare il lunario facendo lavoretti occasionali. Ma la formula è vincente e darà i suoi frutti più tardi: sostanzialmente si tratta di rallentare a dismisura il ritmo forsennato dello ska, nato dal connubio tra il rhythm and blues e certe sonorità caraibiche, accentuandone la cadenza ipnotica grazie alla chitarra ritmica e all'organo "in levare" rispetto alla batteria, e facendo tesoro della lezione di Lee "Scratch" Perry, geniale arrangiatore e padre della musica "dub", con il quale la band di Marley, i Wailers, collaborò per un breve periodo.
La svolta arriva nel 1973, grazie a comprimari d'eccellenza (Peter Tosh su tutti) e alla geniale intuizione di Chris Blackwell, allora patron della Island Records, che fa dei Wailers e del neonato genere musicale, il reggae, un fenomeno planetario ed estremamente redditizio: da Catch a Fire in poi, i successi e i tour mondiali non si contano, mentre cresce e si consolida lo status di Marley come paladino di tutti gli oppressi e cantore delle ingiustizie, non solo di quelle subite dalle genti "di colore".
Bob Marley è morto nel maggio del 1981. Quarant'anni di compilation, inediti e bootleg, non sempre di livello, poco hanno aggiunto dal punto di vista musicale e meno ancora da quello religioso-ideologico, con la confusa adesione al rastafarianesimo e al suo discutibile culto per Hailé Selassié, ultimo imperatore d'Etiopia e presunto Messia che avrebbe messo fine all'oppressione nel continente, secondo i dettami del predicatore Marcus Garvey, guida spirituale del movimento.
Il mito rimane affidato ai pochi album ufficiali e ad alcuni leggendari concerti (tra cui quello di Milano nel 1980), che hanno fatto di Bob Marley la voce dell'Africa sfruttata e dei suoi popoli, discriminati e ghettizzati in giro per il mondo. E in questo consiste, crediamo, il suo merito più grande e la sua eredità più duratura.
*Coordinatore settore musica Violet Moon
Ascolta il brano: https://youtu.be/rf8GjhXvOjU